Di Francesca Colecchia – Arsea Srl – Sulla Gazzetta ufficiale del 2 novembre è apparso il correttivo al decreto di riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo (dlgs 5 ottobre 2022, n. 163 correttivo del dlgs 36/2021). Si tratta di uno dei cinque pilastri su cui si fonda la più complessiva riforma dell’ordinamento sportivo.
Sulla sua entrata in vigore ci sono ancora dubbi: è prevista per il primo gennaio 2023 ma significative sono le pressioni per ottenerne la posticipazione che potrebbe essere formalizzata nella prossima legge di bilancio.
Esaminiamo qui sinteticamente solo tre aspetti fondamentali del correttivo, ossia:
- l’armonizzazione tra riforma dell’ordinamento sportivo e codice del Terzo settore;
- la disciplina dei cosiddetti lavoratori sportivi;
- l’individuazione dei soggetti che possono acquisire la qualifica di organizzazioni sportive.
L’armonizzazione tra riforma dell’ordinamento sportivo e riforma del Terzo settore
Il correttivo evidenzia la possibilità per le organizzazioni sportive di assumere entrambe le qualifiche, prevedendo che gli enti del Terzo settore siano soggetti esclusivamente alle disposizioni relative allo svolgimento dell’attività sportiva e per quanto concerne gli altri aspetti, solo se compatibili con la disciplina del terzo settore.
È stato inoltre affermato che gli enti del Terzo settore del mondo sportivo devono indicare nello statuto lo “svolgimento stabile dell’organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche, ivi comprese la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica”, ma è possibile svolgere anche altre attività di interesse generale, non essendo necessario in questo caso che quella sportiva sia l’attività principale.
Non tutto è chiaro però. Le organizzazioni sportive possono non computare – ai fini del rapporto tra attività di interesse generale e attività diverse – i proventi derivanti da sponsorizzazioni, contratti promopubblicitari, cessione di diritti e indennità legate alla formazione degli atleti e dalla gestione di impianti e strutture sportive. Sarà concesso anche agli enti del Terzo settore sportivi o questi devono necessariamente circoscriverle nei limiti delle attività secondarie, così come definite dal decreto 19 maggio 2021, n. 107?
È bene evidenziare che molti impianti sportivi pubblici sono affidati ad organizzazioni sportive perché ne garantiscano la fruizione da parte della collettività: se i relativi introiti dovessero essere computati nel parametro delle attività diverse, gli enti del Terzo settore di natura sportiva potrebbero trovarsi nella condizione di non poter più realizzare questa forma di collaborazione con la pubblica amministrazione.
Nel mondo sportivo ci saranno esclusivamente volontari e lavoratori
Un aspetto del decreto legislativo 36/2021 che confliggeva con il codice del Terzo settore era rappresentato dall’introduzione della figura dell’amatore come alternativa a quella del percettore compensi sportivi. Il decreto lo qualificava infatti come volontario a cui potevano essere riconosciuti rimborsi spese forfettari, circostanza incompatibile con il codice del Terzo settore.
Con il correttivo viene risolto questo aspetto: le organizzazioni sportive potranno avvalersi esclusivamente di volontari, a cui può essere riconosciuto un rimborso a piè di lista (solo i volontari degli enti del Terzo settore potranno eventualmente accedere al rimborso non forfettario in autocertificazione), di lavoratori sportivi, di collaboratori amministrativo-gestionali e di lavoratori soggetti all’ordinaria disciplina.
Per quanto concerne i lavoratori si evidenziano tre aspetti:
- rimane immutata la norma che garantisce alle organizzazioni sportive la possibilità di avvalersi di collaborazioni coordinate e continuative “rese a fini istituzionali” senza che queste siano attratte nella disciplina del lavoro subordinato ancorché siano etero – organizzate dal committente (art.2 del dlgs del 15 giugno 2015 n. 81);
- i lavoratori sportivi sono soggetti ad una disciplina speciale. La qualifica di “lavoratore sportivo” non è propria però di tutti i collaboratori retribuiti ma vi rientrano esclusivamente “l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo (nonché) ogni tesserato, ai sensi dell’articolo 15, che svolge verso un corrispettivo le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti dei singoli enti affilianti, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo-gestionale”;
- le collaborazioni amministrativo-gestionali non sono prestazioni di lavoro sportivo ma accedono ad agevolazioni fiscali e previdenziali.
Per comprendere le ragioni della riforma delle collaborazioni in ambito sportivo è necessario analizzare il contesto in cui nasce.
La maggior parte delle organizzazioni sportive si è avvalsa negli anni del cosiddetto compenso sportivo, un istituto qualificato sotto il profilo fiscale come reddito diverso – in quanto non riconducibile a prestazione di natura professionale o da lavoro dipendente – non soggetto ad oggi a ritenute fiscali fino a dieci mila euro annui complessivi e non soggetto, per prassi degli istituti preposti, a contribuzione previdenziale e assicurativa. Essendo privo di una definizione giuslavoristica, l’istituto è stato soggetto ad interpretazioni non uniformi tra chi affermava la possibilità di qualificarlo come rapporto di lavoro speciale, diverso da quello autonomo e subordinato, e la Cassazione che lo ha qualificato come lavoro da assoggettare a tutele previdenziali e assicurative quando la prestazione presenta i connotati della professionalità, ancorché caratterizzata dalla marginalità del reddito prodotto (orientamento ormai consolidato da molteplici sentenze emanate tra la fine del 2021 ed il 2022).
Si avvertiva pertanto la necessità sia di disporre di un quadro normativo chiaro, per non lasciare le organizzazioni nel limbo del contenzioso, che di garantire tutele ai lavoratori dello sport, una necessità esplosa durante il periodo pandemico.
Quali lavoratori sportivi nel settore dilettantistico?
Il provvedimento prevede che nella maggior parte dei casi i lavoratori sportivi potranno essere qualificati come collaboratori coordinati e continuativi. Se l’impegno è inferiore alle diciotto ore settimanali – a cui si somma l’impegno per manifestazioni sportive – viene prevista una presunzione di legge di tale natura. Per impegni superiori si consiglia invece di ricorrere alla certificazione del contratto.
Questi lavoratori saranno tutelati dall’Inail, beneficeranno della copertura previdenziale presso la gestione separata Inps ma solo sul plafond superiore a 5.000 euro percepito (l’aliquota è del 25%, 24% se hanno una diversa tutela previdenziale, con riduzione del 50% fino al 2027 e con il consueto riparto di 2/3 a carico del committente, 1/3 a carico del collaboratore), avranno accesso alle tutele relative a malattia, maternità e disoccupazione ed infine verseranno l’IRPEF esclusivamente sull’importo che supera i 15.000 euro.
Il provvedimento introduce inoltre semplificazioni per gli adempimenti legati ai collaboratori coordinati e continuativi. L’organizzazione sportiva con riferimento a chi non percepisce più di 5.000 euro è esonerata sia dalla comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto che dalla comunicazione mensile all’Inps dei dati retributivi e delle informazioni utili al calcolo dei contributi, nessuna busta paga inoltre deve essere emessa per chi non supera i 15.000 euro. Chi viceversa deve espletare tali adempimenti potrà farlo attraverso il Registro delle attività sportive, nel rispetto di disposizioni tecniche e protocolli informatici che dovranno essere definiti con un decreto da adottare entro il primo aprile 2023.
Per quanto concerne invece la categoria dei lavoratori dipendenti, viene previsto che il contratto sia a tempo determinato: massimo cinque anni, eventualmente prorogabili. Il dipendente non sarà tutelato da diverse disposizioni contenute nello statuto dei diritti dei lavoratori per la peculiarità della prestazione e per l’incidenza che riveste l’ordinamento sportivo su tutti gli aspetti sanzionatori. Per quanto concerne la tutela previdenziale è previsto il versamento al Fondo Pensione Sportivi Professionisti (ex Enpals) gestito dall’Inps (33% di cui il 9,19% a carico del dipendente, a cui si sommano le aliquote minori).
I collaboratori amministrativo – gestionali non sono infine qualificati come lavoratori sportivi ma ad essi si applicano le agevolazioni fiscali e previdenziali previste per le collaborazioni coordinate e continuative. Non trattandosi di lavoratori sportivi non è operativa nei loro confronti la presunzione della natura di collaborazione coordinata e continuativa per cui sarebbe opportuno certificare i contratti e in ogni caso la presenza di indicatori di subordinazione gerarchica determina la conversione del rapporto in lavoro subordinato in questo caso a tempo indeterminato.
Il provvedimento introduce novità anche per i dipendenti pubblici: possono svolgere attività di volontariato previa comunicazione. Se vengono retribuiti si tratta di lavoro, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, soggetto all’autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza.
Si segnala infine l’introduzione di due disposizioni di salvaguardia:
- per i rapporti di lavoro sportivo iniziati prima del termine di operatività del dlgs 36/2021 e inquadrati come compensi sportivi non si dà luogo a recupero contributivo;
- istruttori, direttori tecnici e le altre figure già iscritte al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo possono optare, entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, per il mantenimento del regime previdenziale già in godimento.
Ma chi può assumere la qualifica di organizzazione sportiva?
L’elenco viene modificato. Fortunatamente vengono reintrodotte le cooperative sportive, vengono eliminate le società di persone e vengono introdotti gli enti del Terzo settore tra cui, per esempio, le fondazioni enti del Terzo settore generici.
Per assumere tale qualifica è necessario essere iscritti nel Registro delle attività sportive dilettantistiche che, a sua volta, richiede come presupposto lo svolgimento delle seguenti attività:
- attività sportiva, intesa come partecipazione ad attività competitive e agonistiche organizzate dagli organismi affilianti;
- la formazione, intesa come la partecipazione ai percorsi di qualificazione indetti dagli organismi affilianti;
- la didattica, intesa come l’organizzazione di corsi sportivi;
- la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica, intesa come l’attività di allenamento degli atleti.
Si pone pertanto il problema della qualificazione come sportiva della organizzazione che si limita a promuovere attività didattiche sportive – come la ginnastica per la salute e per il fitness – così come dell’organizzazione che si limita alla preparazione degli atleti che partecipano alle manifestazioni agonistiche. Su questo importante aspetto si attendono chiarimenti atteso che tale vincolo precluderebbe a buona parte delle organizzazioni sportive la possibilità di qualificarsi come tali.
Fonte: Cantiere Terzo Settore