Come si sta evolvendo il diritto regionale del Terzo settore?

Toscana, Molise, Umbria ed Emilia-Romagna hanno legiferato in merito, ma la discussione è aperta anche in altre Regioni. Una riflessione del professor Luca Gori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa a partire da un approfondimento uscito sulla rivista “Impresa sociale”

A cura di Luca Gori – Cantiereterzosettore.it – La prospettiva del diritto regionale e degli enti locali è fondamentale nello studio del diritto del Terzo settore. Da un lato, infatti, la riforma del Terzo settore nasce dall’esigenza di una (pur minima) disciplina unitaria a livello nazionale delle diverse manifestazioni del pluralismo sociale con finalità solidaristica, principalmente allo scopo di consentire l’instaurazione e lo sviluppo, in condizioni di parità di trattamento, di rapporti con la pubblica amministrazione e la definizione di un quadro di misure promozionali. Dall’altro, però, vi è la rilevante esigenza che ciascuna Regione – quale soggetto dotato di autonomia costituzionale – possa definire interventi promozionali, così da dare corpo a politiche regionali fondate sull’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale. La costruzione del bilanciamento fra queste due esigenze è uno dei temi di dibattito e riflessione in tutto il Paese.

L’approvazione del codice del Terzo settore (dlgs n. 117/2017) e del dlgs n. 112/2017 (impresa sociale) ha assecondato una logica unitaria, facendo rientrare nella competenza legislativa statale la definizione della qualifica di «ente del Terzo settore», un gruppo significativo di misure di promozione e l’impianto del sistema pubblicistico di controllo. In realtà, subito dopo l’approvazione della riforma (che ha determinato l’abrogazione di gran parte della disciplina legislativa precedente), si è attivato un dibattito assai significativo sugli spazi che il legislatore statale avrebbe lasciato alle Regioni, espressamente o implicitamente. Le Regioni, però, mantengono un loro spazio di intervento sia sulle politiche regionali di promozione ad integrazione di quelle statali (quindi, assicurando il rispetto integrale di quest’ultime), sia sulla possibile definizione di altre qualifiche che – non interferendo con quelle statali – possono diventare a loro volta destinatarie di misure promozionali.

Attualmente, le leggi regionali approvate sono quattro: Legge regionale Toscana n. 65/2020, “Norme di sostegno e promozione degli enti del Terzo settore toscanoche fa seguito all’aggiornamento della legislazione regionale in tema di cooperazione sociale (legge regionale n. 58/2018, “Norme per la cooperazione sociale in Toscana”); Legge regionale Molise n. 21/2022, “Disciplina del terzo settoreLegge regionale Umbria n. 2/2023, “Disposizioni in materia di amministrazione condivisaLegge regionale Emilia-Romagna n. 3/2023, “Norme per la promozione ed il sostegno del terzo settore, dell’amministrazione condivisa e della cittadinanza attivaIl dibattito è aperto in diverse altre Regioni.

Le chiavi di lettura

Provando a “leggere” in sistema i diversi interventi legislativi regionali, ad oggi approvati, si possono utilizzare diverse chiavi

In primo luogo, quella cronologica. Dopo la riforma del Terzo settore, la Regione Toscana è stata la prima Regione che, nel 2020, ha adottato una disciplina normativa di attuazione ed integrazione della disciplina nazionale, con una finalità evidente di reazione veloce rispetto a certe rigidità interpretative soprattutto in tema di amministrazione condivisa (seguita, con una legge molto simile nei contenuti, dalla Regione Molise). Per la verità – come si è detto – già nel 2018 era intervenuta una legge regionale di modifica della materia della cooperazione sociale (legge n. 58/2018). Le leggi successive (Emilia-Romagna e Umbria, nel 2023) hanno contenuti più ampi, mettendo a sistema – per così dire – la carica innovativa che la legge toscana e, successivamente, la riforma del Codice dei contratti pubblici e Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed Enti del Terzo Settore (dm 72/2021) hanno recato. Si può quindi notare una positiva stratificazione “positiva” fra le diverse leggi regionali, ciascuna delle quali è riuscita, almeno per il momento, a portare ad un successivo e significativo grado di sviluppo le novità consolidate nel paradigma normativo nazionale e regionale.

Una seconda chiave di lettura è visualeLa legge regionale umbra si focalizza sull’aspetto del rapporto fra pubblica amministrazione e Terzo settore, assumendo come angolo prospettico la migliore definizione dei procedimenti di amministrazione condivisa. Le altre leggi regionali della Toscana, del Molise e dell’Emilia-Romagna assumono, invece, una prospettiva più ampia di attuazione del codice del Terzo settore nell’ordinamento regionale. Si può pertanto distinguere fra leggi regionali sul Terzo settore leggi regionali sull’amministrazione condivisa

Peraltro, questa considerazione apre ad un ulteriore aspetto da valutare. La legislazione regionale italiana necessita di una significativa manutenzione a seguito dell’approvazione del codice del Terzo settore. Infatti, quest’ultimo, avendo introdotto una nuova definizione della qualifica di ente del Terzo settore (e delle singole qualifiche), nonché un nuovo assetto del sistema di registrazione e di controllo e di promozione, determina l’esigenza dell’aggiornamento delle misure previste dalla legislazione regionale di settore (ad esempio, in campo sociosanitario, culturale, ecc.).

Un altro criterio di lettura può essere costituito dalla valutazione sulla natura prevalentemente attuativa (rispetto al codice del Terzo settore) della legge regionaleo sulla spinta maggiormente integrativo/innovativa rispetto alla disciplina nazionale. In generale, si può affermare che la legislazione regionale si collochi entro il solco dell’attuazione della legislazione nazionale, ma con almeno elementi notevoli meritevoli di precisazione. Basterà qui ricordare l’attenzione dedicata all’istituzione di organismi di rappresentanza e di partecipazione territoriale (legge regionale Toscana n. 65/2020, Capo II, “Raccordo fra Regione ed enti del Terzo settore”legge regionale n. 21/2022 Molise. Capo II, “Raccordo fra Regione ed enti del Terzo settore”legge regionale 3/2023 Emilia-Romagna, Titolo II, “Rappresentanza e partecipazione degli enti del Terzo settore”), che danno plasticamente l’idea della complessità del Terzo settore regionale, il quale coinvolge le fondazioni di origine bancaria, i centri servizio per il volontariato (Csv), le articolazioni regionali delle reti associative, il settore sportivo-dilettantistico ecc. Secondariamente, appare molto rilevante la più precisa declinazione del procedimento di amministrazione condivisa, in grado di esprimere elementi aggiuntivi importanti rispetto all’art. 55 del codice del Terzo settore e al Dm n. 72/2021: la disciplina dell’iniziativa del Terzo settore per l’attivazione dei procedimenti di amministrazione condivisa, il possibile coinvolgimento degli enti diversi da quelli del Terzo settore, la valutazione di impatto sociale, ecc. In altri termini, non si tratta di una legislazione regionale “fotocopia” che mira semplicemente a dare un fondamento di legittimità all’azione amministrativa di Regione ed enti locali, bensì a connotare l’organizzazione regionalein chiave di interpretazione del principio di sussidiarietà.

Sul significato di una legislazione regionale

Quale significato attribuire a questa legislazione? Anzitutto, nei prossimi anni, dovrà essere monitorata con particolare cura l’attuazione di queste leggi. Andrà quindi misurata l’effettiva capacità delle amministrazioni regionali e locali di tradurre i principi legislativi in una vera e propria prassi amministrativa.

Più in generale, se, in una prima fase, l’obiettivo della legislazione regionale (in particolare, Toscana e Molise) è stato di dare un chiaro fondamento di legittimità ai procedimenti di amministrazione condivisa, in un momento di forte contrasto giurisprudenziale (con riflessi applicativi), l’orientamento di politica del diritto prevalente è, oggi, di tipo chiaramente promozionale, a tutto tondo, rafforzando l’impianto di misure di promozione previsto, in via stabile, dal Codice del Terzo settore.

La legislazione regionale, quindi, è chiamata non solo a regolare i procedimenti di amministrazione condivisa negli ambiti materiali in cui le Regioni dispongono di poteri legislativi e funzioni amministrative (che rimane pur sempre l’obiettivo principale), bensì pure di creare le condizioni affinché tali procedimenti possano realizzarsi più efficacemente, attraverso la creazione di sinergie fra gli attori del Terzo settore, gli attori istituzionali e gli altri soggetti portatori di interesse. Ciò è avvenuto, almeno in una prima fase, al prezzo di un intervento non sporadico del giudice costituzionale il quale, tuttavia, non è da considerarsi necessariamente un fattore patologico, ma parte di un processo di apprendimento del nuovo quadro normativo nazionale e delle sue ricadute sull’autonomia regionale. Peraltro, il quadro normativo nazionale, avendo riordinato un intero settore dell’ordinamento, ha bisogno anch’esso di qualche intervento manutentivo (ad esempio, sul piano fiscale), alla luce della giurisprudenza costituzionale e degli orientamenti europei.

Peraltro, il fatto che il legislatore regionale abbia intrapreso (e stia continuando ad intraprendere) procedimenti legislativi in tema di Terzo settore – pur con tutte le diversità di approccio che si sono provate ad elencare in precedenza –, costituisce un elemento molto importante di consolidamento della legittimazione degli enti del Terzo settore come pilastro di una azione pubblica allargata, che non vede più l’attore pubblico come unico erogatore di beni e servizi a tutela dei diritti civili e sociali. In altri termini, questa prima legislazione regionale che si colloca nel quadriennio 2020-2023 mette in evidenza – con i suoi problemi, ma anche con le sue risorse – la saldatura esistente fra il principio di sussidiarietà verticale ed il principio di sussidiarietà orizzontale, così come compendianti nell’art. 118 Cost.: l’attribuzione di potestà legislativa e funzioni amministrative agli enti territoriali non è scindibile dal riconoscimento di quell’autonomia iniziativa – intesa qui come capacità di programmare e progettare insieme politiche pubbliche – che è parte – come ha ricordato la sent. n. 131/2020 della Corte costituzionale – del patrimonio costituzionale del Paese.

Per approfondire si consiglia la lettura del saggio di Luca Gori pubblicato sulla rivista Impresa sociale dal titolo “La legislazione regionale del Terzo settore. Una panoramica”.

Consulta il un nuovo archivio delle leggi regionali e delle province autonome che coinvolgono il Terzo settore dal 2017 a oggi nella sezione “Facciamo il punto”.

* Scuola Superiore Sant’Anna, Centro di ricerca Maria Eletta Martini